Autore: Jane Austen
Casa editrice: Crescere Edizioni
Pagine: 221
Genere: Romanzo
L’Abbazia di Northanger di Jane Austen, uno dei racconti della scrittrice meno conosciuto e di minor successo, pubblicato dopo la sua morte. Un libro che si presenta come una sorta di giallo, o almeno così credevo durante la lettura della quarta di copertina.
In verità, la storia narrata, la si può considerare come una denuncia alla realtà sociale dell’epoca. Una società che teneva particolarmente a creare dei matrimoni di convenienza e non guidati dalle leggi dell’amore.
È una narrazione, una storia, diversa dalle solite descritte dalla Austen. Infatti non vi è la consueta protagonista/eroina, ciò che in realtà è mostrato, è il carattere dell’anti-eroina del personaggio di Catherine Morland.
Ma parliamo della storia narrata. La narrazione gira attorno a Catherine Morland una giovane ragazza che decide di trascorrere alcuni mesi a Bath (come conveniva all’epoca) assieme a degli amici di famiglia benestanti. In quel periodo partecipa a numerose serate danzanti dove conosce il signor Tilney, un giovanotto che accende in lei un’immediata scintilla d’interesse. Varie frequentazioni con lui e la famiglia fanno ben supporre un’eventuale unione, una supposizione resa più concreta con la volontà di farla soggiornare presso l’abbazia di famiglia per qualche tempo.
Catherine, accanita lettrice di romanzi che sfociano sul mistero, crea attorno al suo soggiorno una vicenda fatta di intrighi, rumori sinistri che si rincorrono tra le mura dell’edificio e misteriosi comportamenti da parte del padrone di casa. Sarà vero o solo un’invenzione della sua fervida immaginazione? Riuscirà la giovane a conquistare il cuore del signor Tilney?
Il dispiegarsi della storia è accompagnato dalla voce narrante della Austen, la quale sembra interagire direttamente con il lettore, quasi a voler dare una spiegazione del perché di determinati accadimenti.
“Riporto a casa la mia eroina in solitudine e in disgrazia; e nessuna dolce esultanza di spirito può indurmi a soffermarmi sui particolari” (Jane Austen, 203)
In questo caso vi è un tipo di narratore non onnisciente, ma è presente un racconto oggettivo mediante la focalizzazione esterna. Varie volte, nel racconto, la Austen indugia sulla perplessità e interpretazione di comportamenti poco chiari da parte degli altri personaggi, la cui psicologia non è ben comprensibile se non per piccoli indizi dati con lo svilupparsi delle vicende, ma non sempre lampanti. Il tutto è costruito in modo tale che il vero carattere dei protagonisti, che si intrecciano nella vita della nostra anti-eroina, si scoprirà solamente nel finale, allo sbroglio della matassa.
La psicologia della protagonista invece è delineata e caratterizzante fin dall’inizio. Il lettore riesce immediatamente a carpirne i desideri, a capire la sua natura sognatrice e particolare. Una ragazza, a volte considerata un po’ sciocca per i suoi viaggi di fantasia, ma allo stesso tempo con le idee chiare e con un carattere definito.
E la Cortigiana? La storia riesce a catturare il lettore? Vi parlo dal mio punto di vista, come al solito dopotutto… la Cortigiana non è riuscita a catturarmi completamente, non sono riuscita a immergermi nel suo mondo d’inchiostro. Perché? Solo per un particolare tipico della narrazione della Austen: il non dare soddisfazione al lettore tralasciando delle descrizioni di avvenimenti importanti. Una caratteristica particolare e presente in tutti i suoi libri. Tuttavia, L’Abbazia di Northanger dimostra l’animo combattivo della Austen e della sua voglia di cambiamento in quella società ancora troppo stretta per una donna all’avanguardia come lei.
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